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Sulle origini non solo scolastiche della Matofobia

di emodica Gen 21, 2018 #matofobia

Erasmo Modica – Il termine matofobia, coniato negli Stati Uniti, deriva dalla fusione delle parole “matematica” e “fobia” e, quindi, il suo significato è proprio paura della matematica. In realtà, data la radice del termine matematica (da máthema che viene tradotto come apprendimento), la parola matofobia può essere intesa in senso più generale come paura per l’apprendimento di qualsiasi forma esso sia. La paura e l’odio per la matematica hanno molteplici origini, non si pretende, quindi, di essere esaustivi, ma si cercherà di portare degli esempi che troveranno d’accordo molti lettori. La matofobia spesso nasce all’interno delle aule scolastiche. Come afferma il matematico sudafricano Seymur Papert (1928-), i bambini nascono con una grande voglia e capacità di imparare e le difficoltà di apprendimento, in relazione a qualsiasi disciplina, non nascono spontaneamente, ma vengono anch’esse indotte. Proprio in tali contesti l’allievo si ritrova a confrontarsi con alcuni problemi la cui soluzione non è del tutto immediata. In queste occasioni, sentendosi impotente di fronte all’impossibilità di determinare la tanto cercata e ricercata soluzione, matura un senso di sconforto che, ciclicamente, potrebbe ripresentarsi, accrescendo il senso di incapacità precedentemente sperimentato. Il susseguirsi di diversi episodi simili favorisce la formazione dell’idea che la matematica sia una disciplina astrusa e solamente per pochi eletti, non sapendo che le abilità matematiche non sono congenite, ma vanno sviluppate nel corso della vita. L’ansia è quindi una delle cause principali della matofobia e nasce dall’associazione, da parte degli studenti, della matematica a esperienze di insuccesso vissute durante il percorso scolastico. Di conseguenza, si assiste allo slittamento dalla “matofilia” alla “matofobia”, cioè l’allievo che amava l’apprendimento in generale (e la matematica) matura un senso di timore quando si confronta con esso. Un’ulteriore conferma dell’idea che la matematica sia solamente per pochi eletti viene data agli allievi dalla società in cui vivono. Infatti, sono radicate le convinzioni secondo le quali la matematica richiede una grande memoria e non possiede degli aspetti creativi. Quando si parla di matematica, la maggior parte degli uditori si limita ad ascoltare con timore reverenziale, senza osare effettuare alcun tipo di intervento. Gli argomenti matematici vengono generalmente ritenuti di elevata entità intellettuale e per pochi, dimenticando che tutti gli individui fanno matematica spontaneamente, automaticamente e senza rendersene conto. Regna ancora oggi quell’antica credenza secondo cui esiste una distinzione tra “persone intelligenti” e “persone stupide” e, di conseguenza, tra “persone portate per la matematica” e “persone negate per la matematica”. Ciò fa sì che la passione per la disciplina venga attribuita ad un gene raro posizionato nei cromosomi dell’uomo! Come osserva S. Papert nel suo libro Mindstorms, “La matofobia endemica della cultura contemporanea impedisce a un gran numero di persone di apprendere qualsiasi cosa che essi considerano «matematica» […] le conseguenze della matofobia non ostacolano solo l’apprendimento della matematica e delle scienze […] esse interagiscono con altre endemiche «tossine culturali», fra cui le popolari teorie sulle attitudini, contaminando l’immagine che più di una persona si fa delle proprie capacità di allievo […] la difficoltà con la matematica scolastica è spesso il primo passo del diffondersi di un processo intellettuale che ci induce a definire noi stessi come una somma di attitudini e inettitudini: siamo «matematici» o «non matematici», «artistici» o «non artistici», «musicali» o «non musicali», «profondi» o «superficiali», «intelligenti» o «sciocchi»” . È sorprendente notare come noi, digital immigrants,  figli di una società così evoluta, tecnologica, (forse) mentalmente aperta, in realtà restiamo ancorati all’antico pensiero! È ancor più sorprendente notare come moltissimi docenti di altre discipline, soprattutto dell’area umanistica, si fregino di essere ignoranti in matematica, come se tale status meritasse una medaglia al valore da parte della Repubblica Italiana. Si ricordi che una tale tipologia di ignoranza non è di certo motivo di vanto, così come non bisogna far credere a chi “capisce” la matematica di essere un genio, un eletto! Non conoscere Dante o Pirandello è tanto grave quanto non sapere che, per pagare al ristorante,  si effettua una semplice media aritmetica al fine di determinare quel valore che, opportunamente sommato a sé stesso, lascia inalterata la somma. Andrebbe quindi rivolto a tutti i docenti e ai genitori un cordiale invito alla promozione della matematica, perché il suo contributo allo sviluppo delle abilità di ragionamento non è indifferente e condiziona la vita di un individuo. Non bisogna promuovere una cultura basata sulla scissione tra “conoscenza umanistica” e “conoscenza scientifica”, ma bisogna operare per abbattere questo muro che ancora oggi le separa. Usando una frase di Papert, «lo stato della matematica nella cultura contemporanea è uno dei sintomi più acuti della dissociazione di quest’ultima». Bisogna far comprendere a tutti i docenti e, soprattutto, agli studenti che alla matematica non è attribuito un ruolo secondario neppure all’interno di un liceo classico o di un liceo linguistico. Il contributo che essa apporta è sempre utile, perché partecipa alla formazione del cittadino che nella vita si troverà a risolvere problemi sempre più complessi. Un cittadino che ha sviluppato delle solide capacità di problem solving è più preparato ad affrontare i problemi che la vita gli riserverà. Non si può escludere che questa disciplina sia stata trattata sin dai tempi remoti con modalità astratte ed esempi poco autentici, portando l’allievo a concepirla come qualcosa di assolutamente complessa e talvolta inutile. In effetti, la didattica della matematica è una disciplina molto recente che aiuta i futuri insegnanti della scuola primaria ad affrontare questo compito in modo concreto e piacevole. Ed è proprio da qui che bisogna partire, dalla primaria: a sei anni i bambini hanno tanta voglia di imparare, conoscere, scoprire, e la matematica fa proprio al caso loro, consente a queste menti fresche di entrare in un mondo che può svelare loro tanti segreti. Avviciniamoceli passo dopo passo con palline, dita, rompi-capo, domande a trabocchetto, facciamo vedere loro che saper contare o conoscere bene le tabelline può portare a soluzioni quotidiane immediate, questo rappresenta una buona motivazione, già, la motivazione, senza di essa è difficile che ci sia un apprendimento efficace, quindi in famiglia o a scuola  siamo il loro esempio e coinvolgiamoli nelle operazioni matematiche. Una volta compreso il meccanismo di questa importante disciplina tutto diventa più divertente, quasi ad essere un gioco. Per il superamento della matofobia, si ritiene fondamentale il supporto dei genitori. Essi non devono assolutamente far passare ai propri figli un messaggio del tipo: “non preoccuparti, anche io non ero portato per la matematica”. Tale messaggio comporta un senso di avversione maggiore. Rispondere onestamente a una richiesta dei propri figli circa la propria carriera scolastica è bene, ma è anche bene incoraggiarli e aiutarli a vincere la matofobia.

Fonti

-Papert, S. (1984) Mindstorms. Bambini computer e creatività. Emme.

-Brousseau G. (1986) Fondements et méthodes de la didactique des mathématique. Recherches en Didactique des Mathématiques, 7, 2, 33-115.

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By emodica

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